“Dammi
da bere” dice Gesù alla Samaritana (GV 4, 7) , e Madre Teresa ci invita: “ Mandami
qualcuno da amare Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di
cibo; (…) quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui
occuparmi; quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra
persona.”
Pensiamo
che dopo due anni di missione in Kenya quello che stiamo vivendo sia il dono
più bello e significativo che il Signore poteva darci. Proprio quando eravamo
più stanchi e più fossilizzati sui nostri bisogni Dio ci ha mandato un bambino
di cui prenderci cura. La nostra famiglia si è allargata per il periodo delle
vacanze natalizie. Ci è stato chiesto di prendere in affidamento e di
accogliere un bambino di cinque anni che vive al Talitha Kum (casa per bambini
orfani malati di HIV nata nel 2005 da un progetto del St. Martin CSA). Abbiamo
detto di si alla vita, abbiamo aperto le porte dei nostri cuori e della nostra
casa a una creatura che non ha mai avuto la fortuna di conoscere il significato
dell’amore in famiglia. Ci stiamo accorgendo giorno dopo giorno che non siamo
noi a “dare da bere” a lui, ma è lui, nella sua innocenza e semplicità di bimbo,
a dissetarci da quella sete di affetto e amore di cui abbiamo bisogno, insegnandoci
l’arte della pazienza, la perseveranza, l’andare POLE POLE (in Kiswahili
significa ‘piano piano’) e lo stupirsi per le piccole cose.
Con
lui, come anche con i nuovi colleghi e amici, nel nostro piccolo pensiamo di
aver trovato un modo nuovo di vivere tra la gente: chiamandola a stare con noi,
invitandola a condividere esperienze con noi, per farci capire che le priorità
della vita sono ben diverse da quelle a cui molto spesso diamo troppa importanza.
Ad
esempio nel mangiare: questo nostro nuovo “figlio” ci impiega il doppio del
nostro tempo e questo rispecchia quello che succede in tutte le case locali, il
condividere un piatto di riso diventa un momento sociale e di scambio. E’ un
vero modo nuovo di vivere tra la gente. Stare assieme in cerchio a raccontarsi.
Il
tempo che noi utilizzeremmo per il fare,
questi nostri fratelli ci stanno insegnando che grazie al cibo diventa un modo
di stare e condividere. Imparando
anche questa differenza culturale stiamo apprezzando un nuovo modo di
relazionarci.
Un
altro esempio è insegnargli dal principio usanze e abitudini che per noi sono
scontate: l’utilizzo del water e della tavoletta da usare all’occorrenza (qui
la gente è abituata ad avere un ‘bagno’ a pochi passi da casa con un buco per
terra simile a quella che noi chiamiamo ‘turca’).
Inoltre
la perseveranza nel dover dargli ogni 12 ore le medicine per impedire al virus
dell’HIV di riprodursi e prevalere su tutto il corpo è paragonabile alla fatica
di parlare sempre e solo in kiswahili in famiglia così da rendere partecipe
anche lui in tutti i discorsi (e in questo in nostri figli Tommaso ed Edoardo
sono i nostri maestri!).
“Venite
a vedere” urla la donna Samaritana (GV 4, 29) che vuole condividere con la gente
la bellezza dell’incontro che ha appena avuto con Colui che riconosce essere
Gesù, il Messia che tutti aspettavano.
Ce la immaginiamo così questa donna:
affannata, di corsa, accaldata, che torna in città per annunziare qualcosa di
magico che è avvenuto nel suo cuore e nella sua vita, per far conoscere a tutti
il fascino di un incontro che le ha cambiato l’esistenza.
Come
lei, anche noi ora vogliamo gridare lo splendore del vivere tra la gente del
Kenya che ci sta cambiando prospettive e priorità. Vogliamo raccontare la
grazia che il Signore ha voluto farci portando questo bimbo nella nostra casa.
Allora
vi invitiamo a gran voce: “Venite a vedere come la Missione possa rigenerare
nel profondo; riscoprite la bellezza di vivere tra e con la gente; cercatevi un
nuovo modo di rallegrarvi nel Signore!” solo così la nostra società occidentale
la smetterà di pensare solo a sé stessa.
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