#4 - 2015.05 - Sogno una Chiesa...




“SOGNO UNA CHIESA....”


Sogno una Chiesa
dove le persone e le loro vite
sono più importanti
delle strutture e delle economie.

Sogno una Chiesa
dove lo spirito di unità
soffia più forte
di ogni divisione.

Sogno una Chiesa
con un cuore di madre,
dove nessuno è giudicato
e l’ultimo è accolto.

Sogno una Chiesa
dove i giovani sono valorizzati,
i loro talenti sono riconosciuti
e la loro gioia è apprezzata.

Sogno una Chiesa
dove il servizio e l’amore
scorrono più liberamente
del potere e dei soldi.

Sogno una Chiesa
con lo sguardo di Gesù
dove il povero è un dono
e condividere è una gioia.

Sogno una Chiesa
Dove si praticano
la giustizia e la Pace
invece di predicarle.

Sogno una Chiesa
con una porta aperta
dove il meno considerato
può trovare una casa.

Sogno una Chiesa
dove silenzio e preghiera
vengono prima
di ogni progetto e azione.



Abbiamo voluto tradurre e condividere con voi questa preghiera che ci ha accompagnato per tutto il mese di aprile durate i martedì mattina alla condivisione comunitaria del St.Martin e Arche Kenya.

Prendiamo spunto da questa preghiera per riflettere su quanto importante sia l’aspetto della comunità qui in Kenya.
L’abbiamo sperimentato ad esempio durante il festeggiamento del primo anno di vita di Edoardo.
Festa qui è sinonimo di tanta, ma proprio tanta gente, che si ritrova per condividere la gioia di un momento speciale e comunitario. Non si può fare festa con pochi intimi, è d’obbligo condividere la felicità con chi ti sta accanto.
Perciò abbiamo deciso di festeggiare con i Core Members (persone con disabilità intellettuale) dell’Arca e i rispettivi assistenti presso casa Effathà. Secondo le previsioni saremmo dovuti essere una cinquantina; allora ecco che si pensa al menù una settimana prima (ci è stata caldamente consigliata la carne dalle Mamme che ci hanno aiutato in cucina spiegandoci che ogni festa che si rispetti prevede un po’ di carne oltre al riso e alle verdure), ci siamo trovati il giorno prima fino a mezzanotte ad aprire e preparare 20 kg di piselli (!!!), e abbiamo pensato di fare quattro dolci che, tagliati alla maniera africana (quadratini piccoli piccoli che ti fanno a malapena capire il gusto…), sarebbero dovuti bastare…
E poi arriva il grande giorno: festa a base di allegria, danze, canti, musica, gara di ballo…e bellissima ed emozionante messa mattutina poiché il giorno del compleanno coincideva con la domenica delle Palme.
Sennonché, al momento del taglio del dolce, sono arrivati circa 40 ospiti inattesi da una scuola vicina: ragazzini e ragazzine entusiasti di cantare con noi KATA KEKI e Happy Birthday a Edoardo; perciò abbiamo dovuto dividere i 4 famosi dolci per circa 100 persone!!!
Abbiamo toccato con mano il significato della condivisione totale, a 360°, dall’aspetto umano a quello culinario.
Il nostro intento era semplicemente quello di trascorrere un momento di convivialità e festa, ma la giornata in realtà si è tramutata in un messaggio ben più grande e importante sia per noi che per i nostri bambini: i poveri/vulnerabili (in questo caso i Core Members) sono un dono (con loro ci siamo divertiti e con la loro naturalezza ci hanno trasmesso la loro gioia di vivere), e condividere ciò che ciascuno di noi può dare, è sempre una grande gioia.


In quest’ultimo mese abbiamo vissuto sentimenti contrastanti riguardanti tematiche forti e importanti nella vita di ogni uomo: come affrontare il passaggio dalla vita alla morte e il grande passo del matrimonio.
Il Signore ha pianificato per noi una strana coincidenza: abbiamo perso i nostri nonni a distanza di dieci giorni l’una dall’altro. La nonna Amabile ci ha lasciato il giorno di Pasqua dandoci una testimonianza vera di cosa significa credere nella resurrezione; il nonno Celio se n’è andato con gran serenità nel silenzio del sonno eterno. E’ stato difficile vivere la sofferenza da qui, lontani dalle nostre famiglie ma ancora più uniti nella fede. Ci siamo resi conto però quanto per la nostra cultura occidentale la morte sia un tabù impronunciabile e da cui tenersi alla larga. La viviamo come una cosa privata e difficile da accettare. Qui invece le persone non hanno problemi a riconoscere il momento della morte come un fatto del tutto naturale, come un passaggio che fa parte della vita stessa, loro non parlano infatti di “morte”, ma dicono “E’ passato/a oltre”. Con tanta serenità accettano il volere di Dio e affidano a Lui questa rinascita a nuova vita.
Purtroppo in quest’ultimo periodo è mancato un ragazzo della scuola superiore di Nyahururu che faceva parte della squadra di basket, a cui Fabio ha fatto da allenatore nei mesi scorsi; è mancata una bambina di 12 anni malata di AIDS che era ospitata nella casa per orfani del Talitha Kum; è mancata a causa di un incidente stradale una ragazza di 27 anni che era stata reintegrata in comunità dopo un periodo di riabilitazione nel centro St.Rose per ragazze vittime di abusi… Piccoli grandi drammi che ci vengono comunicati come se facessero parte di un processo naturale delle cose, senza tante lacrime, depressioni o tragedie. La gente soffre, ma con grande dignità, e con immensa fede accetta il progetto che Dio ha per le nostre vite.

Così come il mistero della morte, anche il  matrimonio viene vissuto in tutt’altro modo rispetto ai nostri canoni.
Giovedì 30 aprile è stato festeggiato il matrimonio di un collega del St. Martin.
Il grande passo matrimoniale come lo intendiamo noi: in chiesa, davanti al prete, con i testimoni, le fedi, i regali, il pranzo, le danze ecc…è solo l’ultimo step di un lungo cammino già iniziato anni prima con la stessa moglie ma diventata tale tramite il matrimonio tradizionale. Magari ci sono anche già dei figli ormai grandi a fare festa con i genitori…
Da qui si percepisce l’importanza della cultura, prima viene l’aspetto legato alle radici, solo poi si passa al fatto religioso. Questo perché la religione è una questione successiva alla tribù.
Per noi occidentali il matrimonio cristiano è il punto di partenza per una vita coniugale, qui è il coronamento di un cammino di coppia durato anni e che ha già portato i suoi frutti.
Nella semplicità delle sue tradizioni, l’Africa ci insegna quanto le persone e le loro vite siano più importanti degli schemi e delle regole imposte.


Ad inizio maggio abbiamo avuto il privilegio di partecipare ad una festa che di solito è molto privata e circoscritta alla famiglia, perché una collega ci ha invitato a condividere con lei e i suoi parenti l‘importante passaggio del figlio dall’infanzia all’età matura, con il delicato momento della circoncisione (già fatta precedentemente) che qui è ritenuto un valore. Prima di circoncidere il ragazzino in questione bisogna chiedere l’autorizzazione allo zio (il fratello maggiore della madre) il quale deve parlare con la persona che effettuerà la circoncisione.
Danze canti e preghiere hanno accompagnato il pomeriggio di questa celebrazione.

Solo una settimana fa Ilaria si è trovata a trascorrere una mattinata nella “palestra” di fisioterapia del programma dei bambini disabili. Non essendo una specialista ha potuto “solamente” essere d’aiuto dal punto di vista ludico, intrattenendo i bambini durante la terapia per non farli piangere, cantando canzoncine in kiswahili (che fortunatamente Tommaso le ha insegnato in questi mesi), e facendo loro fare semplici giochi di manipolazione e movimento degli arti. I bambini beneficiari di questi momenti fisioterapici vanno dai 9 mesi a 11 anni e principalmente sono bambini tetraplegici e cerebrolesi; non sanno parlare ma comunicano le loro emozioni e i loro bisogni molto chiaramente, con gli occhi, lo sguardo, le espressioni e alcuni suoni.



David ha 5 anni, vive con la mamma e la nonna, quando era piccolissimo veniva al St. Martin a fare la riabilitazione due volte a settimana, col passare del tempo ha fatto grandi progressi e ora viene una volta al mese, riesce a camminare grazie ad un deambulatore speciale; nonostante i suoi problemi è riuscito a ridere tutto il tempo e a dar sfogo alla sua grande energia/forza. Nel momento del gioco, ha preso le figurine del memory attirato dai tanti colori e ci ha fatto chiaramente capire che la sua preferita era la carta con disegnata una  moto e continuava a fare “brum brum” per sottolineare quanto gli piacesse il rumore di questo mezzo di trasporto.

Karol, ha 11 anni, ha una faccina molto carina e dolce, sorride sempre molto timidamente; ormai dopo anni che viene al St. Martin conosce a memoria i suoi esercizi e, aiutata dalla mamma, si arrangia ad eseguirli da sola. Anche lei è paraplegica ma fortunatamente, anche se a fatica, riesce a camminare. Ha le mani e i piedi storti e gli esercizi sono mirati a potenziare la forza degli arti. Ha la grandissima fortuna di poter andare a scuola e si percepisce subito che è molto intelligente poiché nel gioco di associare una forma geometrica al suo relativo buco ci pensava con molta calma guardando bene la forma e paragonandola alle altre per capire dove poteva entrare correttamente.


Grazie a questo Progetto la gente del posto ha capito quanto bello sia dare una speranza a questi bambini che fino a pochi anni fa venivano nascosti nelle loro case per vergogna, paura e per timore dei pregiudizi, ma che oggi trovano una porta aperta e una casa accogliente al St. Martin.

Il 23 maggio abbiamo vissuto un momento storico, grazie alla presenza di Ans (cofondatrice del St. Martin insieme a don Gabriele) che è venuta a salutare (probabilmente per l’ultima volta) tutti i suoi amici con cui ha condiviso una parte della sua vita. Ans sta combattendo contro un grande male e in questo momento così particolare ha voluto portarci un messaggio di speranza e di grande fede. Riportiamo qualche passaggio che a noi sembra bello condividere: “Nella vita ci sono varie ‘montagne’ (rif. Salmo 121) da scalare che possono fare paura. Il suggerimento che posso darvi è guardare il sentiero e proseguire passo dopo passo senza scrutare continuamente la cima che, così lontana, che potrebbe far paura. (…) Vivete qui ed ora! (…) Pensiamo di conoscere il nostro futuro ma non lo conosciamo. Non è importante ‘fare’ ma ‘essere’. (…) La mia paura era quella di non poter esser più felice, ma quando ho accettato e accolto questo mio male/sofferenza mi sono sentita meglio. La mia felicità deriva dal fatto che Dio è vicino a me. Il corpo può essere malato, ma non IO! (…) Vi lascio due idee su cui riflettere:
TU NELLA VITA HAI SICURAMENTE FATTO QUALCOSA DI BUONO!
TU SEI AMATO PROFONDAMENTE!”.
Ci auguriamo che anche nella Chiesa si riesca a fare un po’ di silenzio e si impari ad ascoltare lo Spirito Santo, prima di pianificare qualsiasi azione.


Un abbraccio e buon inizio estate a tutti.

Ilaria e Fabio con Tommaso ed Edoardo.


1 commento:

  1. Il corpo può essere malato... Non IO! Che pensiero forte! Che donna!

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