giovedì 29 dicembre 2016

Natale 2016 - post e lettera




“Dammi da bere” dice Gesù alla Samaritana (GV 4, 7) , e Madre Teresa ci invita: “ Mandami qualcuno da amare Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo; (…) quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi; quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona.”



Pensiamo che dopo due anni di missione in Kenya quello che stiamo vivendo sia il dono più bello e significativo che il Signore poteva darci. Proprio quando eravamo più stanchi e più fossilizzati sui nostri bisogni Dio ci ha mandato un bambino di cui prenderci cura. La nostra famiglia si è allargata per il periodo delle vacanze natalizie. Ci è stato chiesto di prendere in affidamento e di accogliere un bambino di cinque anni che vive al Talitha Kum (casa per bambini orfani malati di HIV nata nel 2005 da un progetto del St. Martin CSA). Abbiamo detto di si alla vita, abbiamo aperto le porte dei nostri cuori e della nostra casa a una creatura che non ha mai avuto la fortuna di conoscere il significato dell’amore in famiglia. Ci stiamo accorgendo giorno dopo giorno che non siamo noi a “dare da bere” a lui, ma è lui, nella sua innocenza e semplicità di bimbo, a dissetarci da quella sete di affetto e amore di cui abbiamo bisogno, insegnandoci l’arte della pazienza, la perseveranza, l’andare POLE POLE (in Kiswahili significa ‘piano piano’) e lo stupirsi per le piccole cose.

Con lui, come anche con i nuovi colleghi e amici, nel nostro piccolo pensiamo di aver trovato un modo nuovo di vivere tra la gente: chiamandola a stare con noi, invitandola a condividere esperienze con noi, per farci capire che le priorità della vita sono ben diverse da quelle a cui molto spesso diamo troppa importanza.
Ad esempio nel mangiare: questo nostro nuovo “figlio” ci impiega il doppio del nostro tempo e questo rispecchia quello che succede in tutte le case locali, il condividere un piatto di riso diventa un momento sociale e di scambio. E’ un vero modo nuovo di vivere tra la gente. Stare assieme in cerchio a raccontarsi.
Il tempo che noi utilizzeremmo per il fare, questi nostri fratelli ci stanno insegnando che grazie al cibo diventa un modo di stare e condividere. Imparando anche questa differenza culturale stiamo apprezzando un nuovo modo di relazionarci.
Un altro esempio è insegnargli dal principio usanze e abitudini che per noi sono scontate: l’utilizzo del water e della tavoletta da usare all’occorrenza (qui la gente è abituata ad avere un ‘bagno’ a pochi passi da casa con un buco per terra simile a quella che noi chiamiamo ‘turca’).
Inoltre la perseveranza nel dover dargli ogni 12 ore le medicine per impedire al virus dell’HIV di riprodursi e prevalere su tutto il corpo è paragonabile alla fatica di parlare sempre e solo in kiswahili in famiglia così da rendere partecipe anche lui in tutti i discorsi (e in questo in nostri figli Tommaso ed Edoardo sono i nostri maestri!).

“Venite a vedere” urla la donna Samaritana (GV 4, 29) che vuole condividere con la gente la bellezza dell’incontro che ha appena avuto con Colui che riconosce essere Gesù, il Messia che tutti aspettavano.
 Ce la immaginiamo così questa donna: affannata, di corsa, accaldata, che torna in città per annunziare qualcosa di magico che è avvenuto nel suo cuore e nella sua vita, per far conoscere a tutti il fascino di un incontro che le ha cambiato l’esistenza.
Come lei, anche noi ora vogliamo gridare lo splendore del vivere tra la gente del Kenya che ci sta cambiando prospettive e priorità. Vogliamo raccontare la grazia che il Signore ha voluto farci portando questo bimbo nella nostra casa.
Allora vi invitiamo a gran voce: “Venite a vedere come la Missione possa rigenerare nel profondo; riscoprite la bellezza di vivere tra e con la gente; cercatevi un nuovo modo di rallegrarvi nel Signore!” solo così la nostra società occidentale la smetterà di pensare solo a sé stessa.